Partecipanti Progetto Sebino: Corrado Pasinelli, Gianluca Perucchini (anche Speleo CAI Lovere)
Partecipanti gruppi esterni: Ottavia Piana (Speleo CAI Lovere)
Ci troviamo alle 8.00 da Corrado per extra colazione e alle 9.30 entriamo in Bueno. All’ingresso c’è qualche stalattite di ghiaccio, ma meno che all’uscita del 7 gennaio, stavolta la grotta è decisamente meno umida e il regime idrico basso come in poche altre escursioni; niente di strano dal momento che non piove da un mese, ma l’esperienza è singolare: non capita molto spesso di vedere parte del letto della forra scoperto dall’acqua.
Abbiamo quindi la comodità di scendere in un ambiente meno ostile del solito, ma non meno suggestivo. Procediamo spediti a Fonteno Beach, poi Sempre Dritto, quindi risaliamo Sifonik fino al bivio dove imbocchiamo No Trano. In due ore e quaranta minuti siamo pronti ad attaccare la risalita che Corrado ha lasciato in sospeso circa quattordici anni fa (per l’Aceto Balsamico Tradizionale ne bastano dodici).
Non abbiamo le scalette, Gianluca non sembra accorgersene e sale con la consueta disinvoltura, finalmente su roccia discreta anziché sul marciume delle diramazioni di Locomotiva. Avvicinandosi a quella che credevamo essere la cima c’è un po’ di delusione: pensavamo che partisse una grossa condotta fossile (l’arrivo d’acqua è qualche metro più su), invece pare essere una rientranza del pozzo.
Ci fermiamo terminata la corda: Gianluca è arrivato su un terrazzino e sembrano esserci due potenziali strade: per arrivare all’inizio della cascata ci sono circa ancora 7 m di dislivello da risalire; sopra al terrazzino invece sembra esserci effettivamente una fessura fossile separata, anche se fatico a capire bene di cosa possa trattarsi, per vederlo bisogna risalire altri 12 m.
Per oggi ci accontentiamo, anche perché siamo rimasti senza corda…
Riorganizziamo le sacche e ritorniamo sui nostri passi. Al momento No Trano conclude sulla risalita appena fatta, preceduta da un’altra analoga; prima delle corde ci sono 40 m di meandro che possono essere sia percorsi camminando sul fondo (un po’ da claustrofili ma non particolarmente selettivo), sia stando alti. Per motivi che chi c’era conosce, al ritorno per la prima volta faccio il passaggio alto e credo che le prossime volte continuerò a lasciarlo ai miei compagni: la frattura è quasi sempre sufficientemente ampia e in caso di caduta si percorrerebbero parecchi metri, non mi sento così sicura del mio passo; questo unito ai miei onnipresenti stivali mi rende il fondo assai più gradito, anche se con una mano qua e là dal buon Corrado, esco indenne ugualmente dal meandro.
Usciamo in tre ore e mezza, alle 20.30 siamo col cielo stellato sopra di noi.
Ottavia Piana
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